01/07/11

Al faro (e ritorno)


Chi abbia letto Al faro sa cosa voglia dire sentirsi attraversati dallo sguardo indifferente della natura; cercarvi un posto, masticare dettagli e premonizioni del momento vissuto insieme con le ombre. Sa cosa significhi tentare di quietare il tragico rimbalzare di domande e di risposte lasciate lì a evaporare in aliti di polvere su assi di legno, immobili, ricoperte da muffe delicate, silenzi interrotti dai lamenti del vento. Non è il tempo quanto piuttosto la sua assenza,  un aprirsi improvviso di palpebre, una vibrazione  dell'aria che subito trova una ragione in se stessa e in nient'altro, di cessare. Il filo logoro si snoda tra le dita di Sylvia Plath, che quel posto non trovò mai, mentre deificandosi continuava ad opporre la propria esistenza mentale al fremito delle foglie, e arriva trasfigurato fino a Wallace che lo raccoglie e annodando e annodando compulsivamente ricrea il suo schema folle, labirinto claustrofobico di una natura deturpata in ogni modo possibile,  resa irriconoscibile tanto che perfino il desiderio di trovarvi un posto è ormai impossibile da individuare. La "vita domestica" prende il sopravvento ma nessuno riesce a comprenderla, niente che sia vita interiore sa più riconoscersi, così come non riconosce la natura.

    Sembra che il mio viaggio sia compiuto, sembra che  approdata a questo faro abbia raggiunto un limite, lama che separa definitivamente l'uomo dal mondo da quando partii lungo la strada di Swann  - dove la natura trafiggeva l'io proustiano, lo dominava, lo avvolgeva accogliendolo nell'alveo del tempo, ed era la sola via da percorrere. Adesso non resta che azzardare il salto, squarciare il velo sottile oltre il quale cercare risposte che potrebbero non arrivare mai. Oppure tornare indietro, e rifugiarmi nell'immagine illusoria di un'innocenza a cui non saprei più credere.



"Mentre l'estate si avvicinava, e le sere si allungavano, agli speranzosi, ai vigili, che passeggiavano sulla spiaggia, apparvero immagini le più strane -  carni trasformate in atomi che il vento trasportava, stelle che guizzavano nei cuori, rupi, mare, nuvole, messi lì apposta tutti insieme per riunire all'esterno gli elementi dispersi di una visione interiore. In quegli specchi che sono le menti umane, in quelle pozze di acque inquiete in cui di continuo le nuvole mutano e si formano delle ombre, i sogni persistevano, ed era impossibile resistere alle strane premonizioni che i gabbiani, i fiori, gli alberi, gli uomini, le donne, e fin la bianca terra sembravano proclamare (ma se interrogati, pronti a ritrattare): il bene trionfa, la felicità vince, l'ordine predomina. Impossibile resistere allo stimolo insolito di vagare in ogni direzione alla ricerca di un bene assoluto, un cristallo di intensità, distante dai piaceri conosciuti e dalle virtù familiari, estraneo ai processi della vita domestica, unico, duro, luminoso, come un diamante nella sabbia, che fa sicuro chi lo possieda."

(V. Woolf, Al faro)

4 commenti:

ivy ha detto...

ci sono dei libri che si possono leggere così... tranquillamente...
altri come quelli di virginia che.. non ti fanno mai dimenticare il personaggio che li ha scritti di cui il carattere è pregno il libro.

grazie elena... oh davvero una marea di cose tremende.. fosse una.. ma me ne son piovute a catinelle e una più orrenda dell'altra.. mah.. vediamo come va e se ne esco.. ma grazie per le parole

Elena ha detto...

Ci sono libri che sconcertano come questo, come se la sobrietà, il gelo di cui si vestono fosse una specie di presagio

mi dispiace Ivy, per quello che mi dici
spero che tu ne esca presto, al meglio
un abbraccio
Elena

Alex ha detto...

Ciao Elena, se frequenti troppo tipi come Plath o Woolf o Wallace finirai per dimenticare gli scrittori fatti di luce anzichè di tenebra. Qualche volta bisogna anche abbandonarli al loro destino, penso, e cercare una dimora su questa terra.
Di certo, non la si trova nella letteratura - mondo errante e fugace, che ci inganna con il peso delle parole. Quando siamo stufi delle parole, per fortuna, c'è la musica.

Elena ha detto...

Hai ragione Alex, sono parole tossiche quelle di cui mi nutro. Ho anche lottato, pensato di essere immune da questi veleni al punto di dispiacermene, in passato.
La natura c'entra in qualche modo, c'entra del tutto. Non è un caso che in questi giorni trascorsi immersa tra le nuvole e la luce, le mie letture siano pervase dalla bizarria del mondo - I racconti italiani di John Cheever. O da fresche visioni sorgive, sogni tattili, come le poesie di Eugenio Cavacciuti.

E non stavamo parlando di Le Clézio? Una luce che spacca..
Forse quello che serve è anche una buona dose di irriverenza, non trovi?, pensavo a Bukowski.. Uscire da questo tunnel di eleganza deliziosa e mortale..