13/02/12

Thomas Bernhard - Il soccombente

Nelle prime quaranta pagine ci sono i pensieri del terzo allievo di Horowitz insieme a Glenn Gould e Wertheimer su sé stesso Glenn Gould e Wertheimer, mentre entra in una locanda a Wankham, in Austria, e subito dopo mentre se ne sta fermo in piedi nella locanda. Ogni pagina oppure ogni due a volte ogni tre, c'è una frase che termina con "pensai mentre entravo nella locanda", e poi "pensai nella locanda", oppure a volte anche solo "pensai".
In quaranta pagine la densità di concetti che mi si sono appuntati in testa è tale da farmi pensare che la densità sarà questa se non una maggiore per tutto il resto del racconto.
(Sono andata a sbirciare: a  pag.142 c'è ancora "pensai", un pò più indietro c'è "mi dissi" ma non c'è più "entrando nella locanda " o solo "nella locanda").
Il radicalismo pianistico di Glenn Gould ha fatto subito colpo sulla mia immaginazione. Anche l'avvio del processo di intristimento iniziato con l'abbandono per la verità senza troppi rimpianti del pianoforte e poi nel dedicarsi alla filosofia dell'amico narratore. E poi giù a cascata.
L'idea odiosa di virtuosismo pianistico, e l'idea di un Glenn Gould rattrappito che suona "dal basso verso l'alto" e che a guardarlo non sembra quasi altro che uno storpio, una specie di bestia, ma che ad uno sguardo appena più attento appare per quel genio bello e intelligente che era. L'idea di una Salisburgo (e di una  Vienna) avvilente e ottusa che affascina per i primi tre giorni con un incanto che si rivela ben presto un incanto fasullo. L'idea che questo tipo di città sia un ambiente ideale per chi studia perchè in una città così "atroce" non avrà distrazioni e potrà immergersi totalmente nello studio giorno e notte. (Due giorni fa leggevo qualcosa di simile su Jeff Buckley nella biografia scritta da Jeff Apter - un'opera alquanto insulsa come lascia prevedere la natura stessa di una biografia - quando a diciassette anni Jeff si trasferì al Musicians' Institute di Los Angeles, e lì restava rinchiuso quasi sempre nelle sale prova anche perchè Cherokee Street era un ghetto frequentato per lo più da bande di messicani poco gentili e non permetteva di uscire da soli ma solo in gruppetti di quattro o cinque per scoraggiare le aggressioni, il che si può dire ebbe l'effetto di assecondare  la sua già spiccata predisposizione a isolarsi  nello studio e nella sperimentazione, nella musica, per ore e ore al giorno e anche di notte).
Sembra che una delle grandi preoccupazioni di Bernhard sia quella di sgombrare il campo dai sentimentalismi. Già a questo punto mi sembra una preoccupazione superflua. Il gelo che ti investe non fa che stendere un velo di ovvietà sulla precisazione che tra i tre amici non fosse previsto il più piccolo elemento sentimentale, eppure il loro era un legame totale, un legame per la vita, al punto che il più pazzo dei tre - che non era Glenn Gould ma Wertheimer - si uccide poco dopo la morte di Glenn.
Sia l'uno che l'altro muoiono a cinquantuno anni. Non è un caso, perchè, dice Bernhard, dopo i cinquant'anni si perviene all'idea di aver vissuto abbastanza. Ma Glenn non si uccise volontariamente, morì per un colpo, inevitabile, invasato d'arte e di musica com'era. (Mentre ascolto Grace mi sono fatta l'idea che Jeff Buckley sia morto per un'overdose di musica. E' annegato cantando Whole Lotta Love a squarciagola, e quando un'onda gli ha riempito la gola lui ha continuato a cantare gesticolando come se stesse suonando la chitarra imitando Robert Plant e Jimmy Page contemporaneamente per tutto il tempo in cui è rimasto cosciente mentre l'onda lo trascinava fondo, così dev'essere andata. Glenn Gould cadde sul suo Steinway stroncato da un ictus - così racconta Bernhard - mentre suonava le Variazioni Goldberg. Una morte prevedibile, e l'incongruenza è che sia inaccettabile ma giusta).
L'idea stessa di soccombente inventata da Glenn Gould per Wertheimer è spaventosa e affascinante. "Non abbiamo talento musicale! Non abbiamo talento esistenziale", diceva Wertheimer.
Che si scelga l'arte per ribellione, contro i genitori, contro la propria infanzia e la propria esistenza, contro il mondo. Che si scelga anche contro sé stessi. Che si scelga e il suo fallimento finisca con l'essere il simbolo  di un fallimento umano molto più generale. In fondo se Glenn Gould é il più grande pianista dei tempi passati e futuri, lo era contro le scuole di musica, e contro il suo pubblico, contro l'umanità che detestava e da cui aveva scelto di allontanarsi.
La musica (l'arte) ha questa potenza tremenda, induce a scelte terribili, non è una forza a cui l'essere umano possa opporre resistenza: ne viene posseduto. E se crede di poterla plasmare, di esserne plasmato, diventa una specie di ossesso, si mescola con lei, diventa la sua stessa arte. E se pensa di poterlo fare e poi fallisce, allora resta solo l'ossessione. Dell'essere che era o voleva essere, più nulla.

4 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Uno dei libri più belli che abbia avuto la fortuna di leggere.
Sublime, davvero.

Elena ha detto...

Avevo avuto un pessimo approccio con Bernhard anni tentando di leggere Eventi.
Ma ora è davvero tutto diverso.

Ciao mia_euridice

mauriziocugino ha detto...

Bernhard si definiva un artista dell'esagerazione, le reiterazioni sono il suo pane quotidiano, e il fatto che lui riesca a variare si può dire all'infinito su determinati temi (e il pensiero alla variazioni Goldberg viene naturale) è uno dei suoi punti di forza. A volte dopo la lettura di un suo libro mi sono sentito spossato, è come se colpisse sempre nolo stesso punto fino a che non si crea una rottura, una frattura i cui segni rimarranno per sempre, una ferita che non può richiudersi mai più. Tutta la sua opera è segnata dall'ossessione, e l'ossessione porta a questa esagerazione, a questo eccesso che lo contraddistingue.

Elena ha detto...

Mio caro mauriziocugino.. rientro proprio oggi pensa un pò, proprio dall'Austria di Bernhard. L'ossessione ti afferra e ti respinge. Ma di sicuro non ti lascia stare neanche dopo, a libro finito. Non ho ancora terminato l'Autobiografia. E' chiaramente qualcosa di unico che di tipico ha solo ciò che è unicamente umano, cioè l'ossessione - appunto - la falsificazione, il girare intorno alla propria esistenza senza risolverla se non nel pensiero o nell'atto, della (propria o altrui) morte.

Un abbraccio
Elena