27/09/11

Although, of course, you end becoming yourself

"[...] Ma per me la domanda interessante è: cos’è che ha fatto sì che i libri diventassero una parte meno importante del dibattito culturale? [...] Ecco, secondo me molti di noi si dimenticano che in parte la colpa è dei libri stessi. È che probabilmente, sai… si crea una sorta di circolo vizioso per cui, man mano che gli scrittori perdono importanza a livello commerciale e rispetto alla cultura di massa, cominciano a difendere il proprio ego parlando sempre di più fra loro. E ponendosi come una sorta di conventicola chiusa in se stessa che non ha niente a che fare con i reali, normali lettori.
E quindi no, non credo che i libri siano passati di moda. Credo che debbano trovare modi radicalmente nuovi di svolgere il proprio compito. E penso che noi, per esempio, come generazione, non siamo stati granché bravi in questo. [...]

[...]  Certe cose influenzano il tipo di esperienze interiori che uno vive. E i sentimenti di cui la letteratura deve parlare. Cioè, una persona di oggi passa molto più tempo di fronte a un monitor. In stanze illuminate dai neon, nei cubicoli degli uffici, a un capo o all’altro di un trasferimento di dati. E cosa significa essere umani, e vivi, ed esercitare la propria umanità in questo genere di scambio? [...]

[...] Secondo me il motivo per cui la gente si comporta male è che fa veramente paura stare al mondo ed essere umani, e siamo tutti tanto, tanto spaventati. [...] La paura è la condizione di base, e ci sono motivi di tutti i tipi per essere spaventati. Ma [...] il nostro compito qui è di imparare a vivere in modo tale da non essere costantemente terrorizzati. E non nella posizione di voler usare qualunque strumento, di usare le persone per tenere lontano quel tipo di terrore. Io la penso così. [...]

[...] c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno. Secondo me funziona così da sempre, fin da quando gli uomini primitivi si picchiavano con le clave. Anche se si può descrivere in mille parole e in mille gerghi culturali diversi. E la sfida che ci si prospetta, in particolare, sta nel fatto che non c’è mai stata così tanta roba, e di qualità tanto alta, proveniente dall’esterno, che sembra tappare provvisoriamente quel buco, o nasconderlo. [...] Personalmente, credo che se è tamponabile in qualche modo, lo è solo grazie a degli strumenti interiori. "

"E alla fine, naturalmente, si finisce col diventare sè stessi"


da Minima Et Moralia

9 commenti:

giacy.nta ha detto...

Completamente d'accordo. Aggiungo ( al solipsismo ) la propensione ad imitare un modello "astratto", falso e irraggiungibile. La paura, il vuoto derivano anche dal continuo confronto con un'immagine cui non somigliamo ( clamorosa e ottusa sottomissione di un'individualità a un'idea )

Elena ha detto...

Paura e vuoto sono connaturati alla coscienza, ne costituiscono il tessuto di base. Ed è come se fossero l'impossibilità sociale o l'incapacità linguistica di confessarli a mettere in scena la tragedia. Wallace era consapevole di avere gli strumenti per comunicare le sue idee sulla tragedia, per togliere questa materia calda dalla bolla astratta in cui viene costantemente confinata. Ha cercato di tirare fuori da sè i contenuti e un linguaggio capaci di raccontare al mondo la complessità, l'angoscia. Io riesco a immaginare lo sforzo, uno sforzo disumano. E - è questo che credo - si sentiva obbligato a farlo.
Ciao, Giacynta
Elena

cooksappe ha detto...

sicuri?

Elena ha detto...

No, ovviamente.

dalloway66 ha detto...

Esautorare la parola... (la mia missione personale da un po' di tempo)... prendere le distanze dai libri (pur senza abbandonarli)... ridisegnare il paesaggio esterno (specialmente i rapporti interpersonali)... in tal modo tutto si pone in una prospettiva diversa e cose prima di importanza fondamentale adesso sono mitigate dalla consapevolezza di come tutto in fondo sia illusione... ricordarsi di (e del) Sé... solo così si perde la paura, quello stato di sottomissione a un'idea (o a una volontà esterna) che ci mette in catene, a volte per l'intera esistenza, mentre il senso, il vero significato, si trova altrove... ma sempre dentro di sé...

Elena ha detto...

Si capisco cosa intendi. E per molti anni per me è stato così, ma il risultato non è stato quello sperato: mi sono ritrovata improvvisamente in un antro ancora più buio di disperazione. Non so se sia possibile mediare. Io sto tentando di portare la parola nel mio paesaggio esterno, per così dire, non c'è da sottomettersi a un'idea, forse soltanto avere un pò di fiducia che quell'idea possa in qualche modo comprendere anche noi, definirci in qualche modo, anche un modo tutto nuovo. Questo per me sarebbe rompere delle catene. Il fatto è che non posso e non voglio più essere scissa.. Anch'io dalloway66 coetanea di progetti complicati, sto tentando...
Un caro saluto,
Elena

Alex ha detto...

Quali immense banalità dicono gli scrittori quando non scrivono, piuttosto...Temo che al di fuori della scrittura "tutto il mondo è paese". Dio, che ovvietà sarebbe una cose come "c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno"?
Questo libro dev'essere una frittata escogitata dall'editore, e quando sarete giunti a pagina venti lo accompagnerete con uno sbadiglio :-)

Alex ha detto...

La cosa peggiore- dimenticavo il triste corollario- è che questo genere di disquisizioni da sociologi depressi attirano immancabilmente le ulteriori elucubrazioni di chi, normalmente, frequenta una più croccante letteratura per signore...Dove sei mai finito, DFW!

Elena ha detto...

Ciao Alex, eccoti qui, ti trovo in forma smagliante :) Una bella sferzata di lucidità, beh salutare, devo ammetterlo, tanto per combattere le tentazioni di chi (io sono in prima fila) è sempre pronto a lasciarsi abbagliare dal debole baluginare di piccoli frammenti di personalità diluiti in litri e litri di sentimentalismi e interessi editoriali...
Allora, io ho qualche mia ideuzza a riguardo, perchè non è che non ci abbia riflettuto su molte cose, anche prima dell'uscita di questo libro, e naturalmente potrei sbagliare quando penso che colui che ha detto queste ovvietà, è indubitabilmente David F.Wallace. Il genio in fin dei conti si esprime solo nell'arte, (e di certo uno scrittore dovrebbe solo scrivere), e la complessità è un attributo della personalità. Non so se hai mai avuto occasione di guardare qualche filmato, conferenze stampa, incontri letterari: Wallace è un ragazzone americano dalle movenze goffe, un pò sbullonato e ansioso che dice cose a volte piuttosto prevedibili in modo non sempre anticonvenzionale, soprattutto su argomenti che esulano dalla letteratura. Ma io, che lo ammetto sono già accecata da una passione poco obiettiva, vedo in questo un candore che mi conquista ulteriormente, o magari mi rassicura?.. Questo libro non sarà mai un racconto o un romanzo o un saggio di David Foster Wallace, si tratta della trascrizione di David Lipsky (giornalista della rivista Rolling Stone) di conversazioni avvenute in casa e in macchina con Wallace durante il tour promozionale di Infinite Jest. Io dubito che sbadiglierò a pagina venti, ma se dovesse succedere, non mentirò su questo. :) Wallace, io trovo, aveva iniziato già da tempo a smembrare le proprie spoglie, nei vari discorsi alle università, negli incontri qua e là per gli Stati Uniti.. Era già morto e dilaniato in un certo senso. Forse qui in Italia abbiamo un'idea parziale se non fortemente distorta della sua persona. Non vorrei mai partecipare a un fatto simile (non volevo nemmeno acquistare i suoi libri dopo il suicidio, non volevo essere tra quegli sciacalli che... ) eppure trovo che potrebbe essere ugualmente orrendo pretendere che mantenga ancora adesso la promessa impossibile di dimostrarsi all'altezza di ciò che scriveva. Sono convinta che non avesse veramente intenzione di rinunciare alla banalità delle questioni esistenziali, non lo penso, e chissà forse questo gli creava dei corto circuiti.. Io questo lo comprenderei. Devo aver pubblicato una frase tratta da "Piccoli animali senza espressione", racconto meraviglioso, che... ah si eccola: "Ma considera che pochi, pochissimi di noi sono in grado di affrontare l'ovvio".

Ciao Alex, grazie
e perdonami questa noiosa lungaggine

Elena