06/10/10

Un marxista a New York

Non é la prima volta che rubo suggerimenti dal blog del Capitano

Questa é un'intervista di Oriana Fallaci a Pasolini su New York, fatta il 13 ottobre 1966. 
Anche da qui come da tante altre interviste, articoli, poesie, si esce nuovi, rinfrancati nella consapevolezza di quanto si possa essere liberi, ovunque, sempre.

Le sue risposte non sono mai quelle che noi poveri mortali incatenati potremmo aspettarci. Sconcerta, mescola coordinate e definizioni, con profonda, quasi infantile semplicità, ci libera.
Ci piace, contro la nostra volontà.
Ogni sua visione del mondo, è una boccata di ossigeno.

" «Whisky?» gli chiedo. «Birra? Cognac?» «Coca-cola», risponde.

«Non mi sentivo straniero, imparai subito a girare le strade neanche ci fossi nato: eppure non la riconoscevo. Perché nessuno ha mai rappresentato New York. Non l'ha rappresentata la letteratura: a parte le vignette di Arcibaldo e Petronilla, su New York esistono solo le poesie di Ginsberg. Non l'ha rappresentata la pittura: non esistono quadri di New York. Non l'ha rappresentata il cinema perché... Non lo so. Forse non è cinematografabile. Da lontano è come le Dolomiti, troppo fotogenica, troppo meravigliosa, e dà fastidio. Da vicino, da dentro, non si vede: l'obiettivo non riesce a contenere l'inizio e la fine di un grattacielo. Ma non è solo la sua bellezza fisica che conta. E la sua gioventù. È una città di giovani, la città meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i giovani, qui.»


«Io sono un marxista indipendente, non ho mai chiesto l'iscrizione al partito, e dell'America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta. Non mi piace Hemingway, né Steinbeck, pochissimo Faulkner; da Melville salto ad Allen Ginsberg. L'establishment americano non ha mai potuto conciliarsi, ovvio, con il mio credo marxista. E allora? Il cinema, forse.
Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani, cioè da un'America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho ritrovato: è un'America giovane, disperata, idealista. Vi è in loro un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa.»

«L'aspetto più importante di questa città è la miseria. (..) Sì. Lo stesso tipo di miseria, o povertà, che si trova nelle ex colonie divenute indipendenti da poco. Lo stesso tipo di povertà che trovi a Calcutta, a Bombay, a Casablanca. Mi spiego? Non una miseria economica, la miseria di chi non ha da mangiare: una miseria, ecco, psicologica. »"

4 commenti:

Ettore Fobo ha detto...

Ecco un’intelligenza realmente libera e anticonformista, lontana dallo stupido cliché del marxista nemico dell’America.
Penso che l’idealismo e l’assenza di cinismo, di scetticismo, siano i segni di un paese giovane, con un passato minimo. Mentre noi Europei ci trasciniamo dietro secoli ormai consumati, i quali probabilmente tarpano le ali al nostro entusiasmo originario.
A proposito di Ginsberg, ho visto recentemente Urlo, il film, e sono rimasto sorpreso perché per la prima volta (almeno per me) un testo poetico- e non una biografia- assurge ad assoluto protagonista. E la sala era gremita. Solo gli americani potevano riuscirci.

Elena ha detto...

Un idealista come era Pasolini, pienamente libero e dotato di un'intelligenza e di una coscienza così ampia e dolce, capace di infilarsi dentro la realtà con tutto se stesso e di accogliere e leggere in profondità dentro ogni piega delle contraddizioni umane non poteva che restare affascinato dall'America.

Su Ginsberg dichiaro tutta la mia imperdonabile ignoranza. Così Urlo mi viene voglia di vederlo, perché ciò che scrivi riguardo ad un testo poetico che diventa protagonista di un film, mi affascina e solletica la mia curiosità. Ma lo farò soltanto quando avrò colmato almeno in parte le mie voragini letterarie.

Ciao Ettore

P.S. Sulla poesia: tra qualche giorno mi arriverà Sotto una luna in polvere...

A presto
Elena

Alex ha detto...

Ciao Elena,
penso che sia difficile commentare Pasolini, ancora di più testimoniare per lui...Qualsiasi cosa se ne dice, alla fine senti che ti manca una parte, che hai dato rilevanza ad un aspetto che, magari, non era quello più importante per lui. Delle citazioni che riporti qui, mi piace il modo di ammettere senza indugi la sua dipendenza dalla cultura (cinematografica) americana. In realtà, si potrebbe dire lo stesso per la letteratura, anche se non nel suo caso specifico.
Buona parte dell'entusiasmo che si mette nella scrittura, di solito, penso che non possa dipendere da un nessun nazionalismo letterario (da qui il mio poco interesse per il lavoro di scrittori come Bajani o Vasta, presi come sono dal loro essere "italiani").
E' come se per scrivere occorresse ritrovarsi altrove, in un al di là geografico e spirituale così "brutale" da sembrare vero. Ieri era l'America e, oggi, forse è la Cina? Di certo, il nobel a Xiaobo sta facendo notizia e nulla, adesso, verrà detto o fatto senza pensare a quell'altra parte che non è poi così diversa da noi.

Elena ha detto...

Si, é difficile e alla fine é lui a dare rilevanza, e coraggio a ciò che pensiamo, e che improvvisamente dopo aver letto un suo articolo, un pensiero, una poesia, si rivela chiaro come il sole, plausibile, dignitoso.
Non credo sia possibile affidarsi a qualunque tipo di nazionalismo in letteratura, sarebbe come ammettere di non voler pensare. Scrivere non é che la materializzazione dell'altrove.
Un premio nobel bellissimo, questo.
Ciao, Alex

Elena