Sono e sarò sempre una lettrice, sangue di lettrice. Non credo che lo scrittore sia, come si dice, prima di ogni altra cosa un lettore. Non penso che l'essere-lettore sia destinato naturalmente alla produzione letteraria. Nei casi patologici in cui la lettura é il solo modo conosciuto di maneggiare l'esistenza, quando interpretare sé stessi e il mondo é possibile soltanto attraverso la migrazione dal tempo della natura a quello del linguaggio e del senso simbolico e ritorno - e il ritorno ogni volta costringe a fare i conti con incastri che non combaciano più, punti di riferimento spostati, sensi unici rovesciati - la scrittura che quasi istintivamente ne deriva non é che una colatura di pensiero, reflusso di lettura, coaguli disciolti attraverso il processo di decantazione di materiale assorbito, consapevolmente o meno, dal tessuto psichico.
La scrittura - di materiale che possa essere catalogato sotto la voce letteratura - non é la defecazione intellettuale di un essere nutrito esclusivamente a lettura: lui-lei insomma l'essere-scrittore tenta di raccontare ossessivamente un certo sé stesso che gli sfugge, e cerca il modo di farlo sempre, quando cammina, sogna, respira dorme; e soprattutto, quando legge lo fa come se scrivesse, in lotta con le mille realtà di cui potrebbe scrivere in un modo solo suo e di cui non ha scritto e non scriverà perché lo ha fatto qualcun altro anche se in un altro modo; mentre si dibatte costantemente nello sforzo di costruire un suo sistema, in cui il tempo la natura l'altro la storia e il suo io trovino una temporanea collocazione. Prigioniero in fuga dall'effimero, verso il suo centro.
11/05/10
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
7 commenti:
Il problema che hai posto è davvero interessante. Apprezzo il modo in cui l'hai affrontato e certe espressioni che hai usato ( "Colatura di pensiero" è davvero notevole ). Sono sostanzialmente d'accordo con te, ma non pensi che chi scrive possa essere mosso anche dal bisogno di dimenticarsi di se stesso e di trovare il centro fuori di sè ?
Però è anche vero che senza la lettura uno scrittore sarebbe monco;faccio un esempio: secondo le statistiche in Italia ci sono 15 milioni di scrittori di poesia e 5000 lettori. Io penso che i veri poeti vadano ricercati fra quei cinquemila.Ciao
Giacynta, chi é ossessionato da sé stesso sente certo l'urgenza di "dimenticarsi" in certi momenti, di sentirsi sollevato dal peso della propria presenza. Non so davvero se la scrittura renda possibile tutto questo. Forse per qualcuno. Per alcuni no. Penso a D.F.Wallace. Alla Woolf, ad Antonia Pozzi..
Anch'io lo penso Ettore. Credo che chi scriva sul serio sia necessariamente un grande lettore. Mentre non credo nel percorso logico inverso. Sembra una specie di teorema di continuità o roba del genere, che applicato a tutto questo discorso, suonerebbe che per scrivere, leggere é condizione necessaria ma non sufficiente..
Ciao
Ciao, ho letto con molto interesse le tue riflessioni che certamente colgono un problema: questa presunta coppia assoluta, lettore/scrittore, forse non è tale. Sono d'accordo e nello stesso tempo mi trovo vicino alla posizione di Carmen. Per esperienza personale ho potuto notare che lettori/lettrici voraci non sono attratti più di tanto dal fatto di scrivere...Lo scrittore, invece, rimane un lettore selettivo, almeno io lo sono senz'altro. Non sono sorpreso di notare una voracità "improduttiva", perché tutto sommato la lettura è un gesto "attivo" soltanto nella misura in cui ti rilassi, magari sul divano, e ti assenti dal mondo per includerlo in una certa totalità (immaginaria) che sia prosa o poesia, teatro, etc. Scrivere, invece, ti rende la vita più difficile; richiede una concentrazione produttiva, insomma ti stressa di più. Per me questo criterio ergonomico- banale, forse, ma concreto- resta quello determinante.
Dicevo che sono d'accordo con Carmen, però, perché una predisposizione all'ascolto ci vuole...Mi permetto di consigliare una lettura in proposito, anche se magari ne hai già parlato: All'ascolto, di J.L.Nancy (Cortina editore). E' un libro fuori corrente, in molti sensi, tutto da...ascoltare.
Carmen, condivido la distinzione fondata sulla qualità dell'arte. Anche la lettura può essere considerata una specie di attività artistica. Credo ci sia un "modo" che fa la differenza, in aggiunta alla selettività, credo sia ciò di cui parli tu Alex. D'altra parte esistono diversi tipi di approccio in ogni ambito. L'approccio attivo nella lettura secondo me é quello per il quale ciò che hai letto continua lavorarti dentro con chiarezza anche dopo aver chiuso il libro, mentre vivi. Per questo la voracità va controllata, la passione tenuta a bada, per non bruciare tutto nel tempo delle pagine. Io per esempio, chi mi conosce bene lo sa, ho la tentazione di diventare ciò che leggo a volte. Questo mi toglie potere.
Elena
Concordo con Elena quando parla dell'approccio attivo nella lettura, e capisco pure quella voracità. Non so se lo scrittore sia sempre lettore, so che molto spesso mi è capitato di leggere di musicisti, cantanti che dichiarano di non ascoltare musica, nè la loro nè la propria, di attori e registi che non vanno al cinema, per non parlare dell'atteggiamento snobistico di molti che fanno tv che dichiarano appunto di "fare" la tv ma di non vederla. Ecco a me non piace nessuna di queste persone, magari apprezzo ciò che scaturisce dalla loro creatività ma trovo mortificante e molto da "ignoranti" non confrontarsi con l'universo culturale del loro ambito. Magari è proprio così che mantengono integra la purezza e la bellezza del loro pensiero, perchè non avviene quella contaminiazione di cui parlava Elena inizialmente, quella "colatura" non trapassa le maglie del loro trasmettere, però una velatura di antipatia me la lascia sempre per la persona.
La lettura attiva é non cercare risposte nelle parole lette. Magari riconoscersi o non riuscire a farlo, nelle domande. In entrambi i casi c'é da capire di se stessi, del mondo.
Ciao Elisa
Posta un commento