La prosa di Ettore Fobo, che sia un discorso su prose o poesie di altri oppure un riflesso interiore, è scritta in una lingua chiara: niente potrebbe nascondersi dietro le parole se non le ombre stesse dei contenuti che creando anfratti e cunicoli rendono desiderabile diramare simultaneamente i percorsi del pensiero. E' proprio questo il linguaggio che mi illudo di riconoscere, in parte per essere giustificata ad abbandonare la strada appena scelta per altre strade tutte coerenti con quella originaria poiché la sorgente stessa è mobile, instabile, perfetta e inutile, colma di vuoto. Sembra che la sostanza dei versi sia polvere staccata da questi pensieri appena più concreti, in cui tutto ciò che si rappresenta come umano è sfuggente e indefinibile, ma sempre riconoscibile. E' un'intercapedine in cui restare o muoversi, un luogo sempre tragico ma anche ridicolo, perché non manca mai la connotazione di eccessiva importanza né l'assenza di significato dell'essere uomo, centro esatto di un niente e contenitore involontario di un universo non meno assente. Ciò che fluisce aumentando di spessore per poi dissolversi nuovamente tra un verso e una verità sottintesa se non taciuta - resa pura visione - è una specie di grazia della consapevolezza limpida e tranquilla di questo niente, e del ruolo della poesia che se ne fa voce per lo più inascoltata. In nessun tempo più che tra questi versi ombre e solitudine sono bene accette, la guerra è aperta e mai combattuta tra i due orrori opposti, le due condanne tra cui non è dato scegliere o mediare: l'omologazione o il silenzio - mentre la natura (il corpo, il sangue) fa da specchio agli aspetti più gelidi e vuoti di cui è intrisa l'esistenza sfiorati dalla brillantezza del momento predestinato alla fine.
"Vivo in quest'alito di inchiostro"
"(...) potremmo vivere in un flessuoso
vagito di ossessioni e visioni
od andare preconfezionati e infetti
tra i sassi sfatti od intatti
annegare nel plancton sciamante
dagli artigli del Re Corvo."
"No, nemmeno andarsene è utile,
bisogna nascere e vivere con lo slancio
di un milione di corvi, sotto il sole afflitto
di un'intelligenza che ha visto tutto."
"Togliersi una maschera
non è cosa da poco,
perché sotto la sua scorza
strati di pelle maciullata
dicono quanto ella fosse,
seppur per breve istante,
proprio il nostro volto.
Non è poco
togliersi una maschera,
spesse volte è il vuoto
quello che copriva,
o la ben nota
stanchezza di essere cosa,
sotto il vilipendio dell'assenza."
"Custode di una perla di follia,
aveva versi rapidi come il fiume,
distoglieva il gioco dal suo senso,
moltiplicava abissi e si perdeva
in sconnessioni orfiche e danzava.
(...)
Con questo vento di poesie fuori dalle tasche,
fogli scritti col lapis,
per darla a bere al nulla, alla luna,
coll'impeto delle sue lacerazioni."
(Ettore Fobo, da Sotto una luna in polvere, Kipple Officina Libraria, 2010)
04/02/12
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2 commenti:
Faro'tesoro delle tue parole, Elena, grazie.
E' piacere autentico pensarci su, Ettore.
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