17/06/09

In una rete di fili che s'allacciano

Esito in sospensione tra i gradini del treno, un respiro prima di prendere la corrente impetuosa del marciapiede. Mescolo lo sguardo a una molteplicità non appiattita, un insieme puntiforme piuttosto, in cui ogni differenza anche minima di colore, dimensione o moto genera profondità, ombreggiature. Una insieme-somma di individualità chiuse, in balìa di mille ondeggiamenti casuali di distanze e di attimi. Disperdo nella strana atmosfera degli annunci saturi di echi la tentazione di cedere ad un senso di presagio, il desiderio improvviso e incontrollato di un incontro casuale che colmi con uno sguardo, una mano, lo spazio vuoto reso disponibile dalla solitudine moltiplicata per ognuna di quelle presenze. Mi lascio irritare dalla mia stessa infantile immaginazione, che tento di scrollare via con un'idea concreta qualsiasi, il ritardo, la fretta. Mi sfiora un cotone caldo e liscio a cui sfuggo insinuandomi in un tunnel di persone tra vapori dall'odore pungente, per fortuna ho appena il tempo di registrarlo, è già disperso nel tepore acre di treno. Le piastrelle sporche corrono via mentre cerco un varco tra gambe e valigie fino all'atrio. Lo spazio della galleria si apre in altezza modificando improvvisamente il suono dell'aria, dilatando i movimenti, rallentando i minuti. Mi arresto sulle destinazioni dei treni in partenza, guarirò mai dai miei eterni pensieri di fuga? Sbircio anche tra quelli in arrivo e mi ritrovo a scrutare tra teste sconosciute chiedendomi chi di loro parte e chi arriva, senza capire a cosa possa servire cercare, e cosa o chi di sconosciuto che per quanto ne so potrebbe effettivamente anche essere lì. Forse. Ci sta bene ora il sorriso che mi viene, è il sorriso che serve, mancano gli occhi giusti a vederlo, però è ora di andare e finalmente vado. Sull'autobus mi rinchiudo nell'angolo del libro. Non so ancora se mi serve a nascondermi o a gettarmi al di fuori non vista. Non sono in grado di capire un accidenti di niente di me figuriamoci degli altri o del resto del mondo. Per ogni meccanismo psichico individuale o collettivo, sfumatura o grossolaneria, ho sempre creduto di trovare dentro di me una plausibile e giustificata collocazione, una madre di tutte le origini o un algoritmo di applicazione dei ruoli. Lungo la mia sofferta quotidianità intrappolata nella deriva senza orizzonti di una disordinata ricerca del senso, anche la più contorta delle tessere finisce col semplificarsi senza sforzo, si incastra perfettamente nella infinita possibilità di combinazioni che non mi stanco di immaginare. Dubito costantemente però della mia lucidità. Sbando troppo nell'ansia di capire. Ma c'è il confronto, per contrasto o affinità, continuo a credere nello scambio che conforti la mia consistenza interiore. Che sia anche promessa di tempesta, il giusto per smuovere illusioni e false certezze. Mi riposo e trovo pace quando ricevo risposte che non sapevo di cercare su ciò che è, o che è già stato e allunga filamenti di tempo in sottili ramificazioni appena percepibili ma reali, fino qui. Quando lo sforzo di capire qualcuno mi viene ripagato dal sentirmi più vicina a chi mi parla.


"Come sei, Lettrice? (...) La tua casa, essendo il luogo in cui tu leggi, può dirci qual è il posto che i libri hanno nella tua vita, se sono una difesa che tu metti avanti per tener lontano il mondo di fuori, un sogno in cui sprofondi come in una droga, oppure se sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che t'interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri. "


"Cominciare. Sei tu che l'hai detto, Lettrice. Ma come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già da prima, la prima riga della prima pagina d'ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal libro. Oppure la veria storia è quella che comincia dieci o cento pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo. Le vite degli individui della specie umana formano un intreccio continuo, in cui ogni tentativo d'isolare un pezzo di vissuto che abbia un senso separatamente dal resto - per esempio l'incontro di due persone che diventerà decisivo per entrambi - deve tener conto che ciascuno dei due porta con sè un tessuto di fatti ambienti altre persone, e che dall'incontro deriveranno a loro volta altre storie che si separeranno dalla loro storia comune."

(Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore)


In una rete di fili che s'intrecciano...

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