11/06/09

Flann O'Brien, La miseria in bocca


Che fortuna essermi imbattuta in questo libretto liberatorio, scelto qualche tempo fa per il colore e per l'odore della carta, come spesso mi accade, tra file alluvionate da una mescolanza di nomi e titoli in un freddo book store di quelli che non invoglierebbero a leggere nemmeno un bibliofago incurabile. Una fortuna anche che abbia deciso di leggerlo in questo momento denso di sbandate letterarie e cervellotiche in cui mi trovo invischiata, in effetti senza un particolare desiderio di evitarle.
Flann O'Brien nella vita reale era Brian O'Nolan, uno scrittore e giornalista nato nel 1911 in quella parte di Irlanda occidentale chiamata Gaeltacht e morto a Dublino nel 1966, che amava mascherarsi di tanti pseudonimi. Come scrittore produsse poco e quel poco non è gran che conosciuto, soprattutto in Italia. Fu quasi completamente ignorato dal pubblico nel 1939 quando uscì il suo primo romanzo At-Swim-Two-Birds, pur apprezzato da un manipolo di intellettuali dell'epoca. Nel 1940 tentò senza successo di far pubblicare The Third Policeman, dopodichè, mentì affermando di aver perso il manoscritto, che fu ritrovato e pubblicato soltanto un anno dopo la sua morte. Del 1941 è An Béal Bocht romanzo scritto in gaelico, e tradotto prima in inglese, poi in italiano come La miseria in bocca. Si dice che questo fu l'ultimo libro letto e amato da Joyce prima di diventare cieco, e che anche Dylan Thomas lo avesse particolarmente apprezzato. O'Brien era di famiglia borghese e come suggerisce Gianni Celati nella prefazione, il disprezzo strisciante per la miseria insinuata in ogni discorso o azione del suo ambiente contribuì certamente ad alimentare una evidente propensione a scrivere di ambienti squallidi, poveri e macilenti al limite del concepibile, con uno stile svagato e ironico che mette a nudo ogni ridicola ostentazione di conoscenza della lingua e della cultura gaelica da parte dei sedicenti esperti Gaeligores, e che si scaglia con un garbo tutto personale contro i revival gaelici e i testi che circolavano in quegli anni e che pretendevano di diffondere usi, costumi e leggende gaelici, finendo col diventare una raccolta piuttosto deprimente di elementi folkloristici per lo più privi di fondamento. O'Nolan era un erudito che detestava e derideva l'eruditismo, si interessava di filosofia, teologia e naturalmente letteratura e poesia, ma non si prese mai troppo sul serio nè come intellettuale nè come scrittore. E anche per questo di certo non ebbe alcun riconoscimento da vivo; divenne funzionario governativo e scelse la carriera giornalistica, diventando molto noto per una rubrica sull'Irish Times con lo pseudonimo di Myles na Gopaleen (o na gCopaleen), Myles dei Cavallini, sulla quale per anni prese di mira il mondo della politica e della cultura e in generale la società dublinese con il suo stile sempre ironico e pungente.

Ne La miseria in bocca la vicende di Bonaparte O'Coonassa e del Vecchio Grigio (figura classica della tradizione gaelica) si dispiegano in un misto di squallore, putridume, puzze suine nauseabonde e strane avventure in mondi altri, sotterranei o eterei, richiami di creature tratte dalle leggende gaeliche o a loro attribuite, il tutto scritto in uno stile svagato e visionario che induce alla risata senza mai suonare astioso o perdere un certo alone di cupo mistero ben mescolato al senso dell'assurdo e del ridicolo. Alcuni elementi ricorrono ossessivamente nel corso della storia come tratti distintivi del destino ineluttabile dei gaelici: una cadenza regolare e comica di uomini e donne che mangiano patate dall'inizio alla fine (solo raramente qualche pesce) quando non digiunano sotto perenni acquazzoni che dio li manda, acqua salmastra che sferza i vetri anche se ci si trova a più di dieci miglia dal mare in un terra dove tutti si chiamano Jams O'Donnel, camminano scalzi, da vecchi siedono con i talloni rigorosamente piazzati nella cenere del camino, e abitano tutti in una casa tinta a calce in un angolo della valle sulla parte destra della strada verso est. Persone che si rivolgono l'un l'altro con frasi del tipo "O nobili dal dolce parlare...", che prima o poi vanno in Scozia a far cuccagna, vivono da miserabili più dei miserabili e perseguitati dalla sfortuna per tutta la loro vita, e quando il mare ingrossa, la tempesta infuria e i pescatori non se la passano tanto bene là in mezzo alle onde, le donne aspettano sulla spiaggia, gridando "Chi salverà il mio Micky?". Non solo destino ineluttabile ma condizione (miserabile) indispensabile a conservare intatta la purezza della cultura gaelica, con i distinti Gaeligores che vengono di tanto in tanto da Dublino "ad ispezionare" la loro miseria.

"La nostra casa era costituita da un unico locale. Il tetto era fatto con delle fascine di canne e così pure i letti in fondo alla casa. Al tramonto si sparpagliavano le fascine per terra e tutta la famiglia ci si adagiava sopra a riposare. Là in fondo c'era un letto con una vecchia mucca smunta che dormiva stravaccata su un fianco e un intero pollaio assopito al riparo della sua pancia - il suo respiro era così potente che a volte sembrava di averci un ciclone in casa - e infine un letto vicino al camino, con me sopra.
Proprio così! I cristiani vivevano in brutte condizioni, quando ero giovane io, e chi aveva del bestiame, la notte, doveva fare i conti con lo spazio. Ma d'altra parte, è sempre stato così. Ho spesso sentito il Vecchio Grigio parlare della vita di stenti e di miseria dei tempi andati."

Quando Bonaparte O'Coonassa cerca di sfuggire al suo destino appropriandosi di alcune monete d'oro per comprarsi un paio di stivali, incorre in una serie di conseguenze che lo allonteranno dalla sua terra. Viene processato senza capire niente di ciò che gli viene contestato nè quanto dovrà restare in prigione, ma si rende conto che a Dublino non piove sempre e che in prigione ha risolto il problema della miseria. Incrocia un vecchio che gli sembra di riconoscere, gli chiede il nome e lui risponde "Jams O'Donnel!", dal che lui comprende di aver ritrovato suo padre, portano lo stesso nome...

Curioso, per quanto calchi decisamente la mano in tanti passaggi la condizione di miseria non suona mai completamente negativa...

"Dalla loro conversazione raccolsi un certo numero di informazioni sulle Rosses e sulle brutte condizioni dei suoi abitanti; erano tutti senza scarpe e senza soldi in tasca. Alcuni c'erano sempre dentro fino al collo, altri andavano a far cuccagna in Scozia. In ogni baracca c'era: 1) come minimo un tipo soprannominato "Il Giocatore", uno scansafatiche di prima riga che aveva trascorso gran parte della sua vita a far cuccagna in Scozia, giocando a carte e a biliardo, fumando tabacco e bevendo ogni sorta d'alcolici in giro per le taverne; 2) un vecchio decrepito che passava il tempo a letto, accanto al camino, e si alzava solo di sera quando qualcuno veniva a trovarlo; allora premeva i calcagni in mezzo alla cenere, si schiariva la gola, si accendeva la pipa e cominciava a raccontare storie sui tempi duri; 3) una graziosa fanciulla, che poteva chiamarsi Nuala o Babby o Mabel o Rosie; a cui tutte le notti file di uomini venivano a far visita con una bottiglia in mano per strapparle una promessa di matrimonio. Non si sa perchè ma era così. E chi pensa che io stia mentendo, vada a controllare sui buoni libri."

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