29/08/11

On the road (Il rotolo del 1951)



Di Kerouac mi ha sorpreso l'ostinata certezza di arrivare a "quello" costellata di una miriade di indizi che non sarebbe mai stato possibile arrivare tanto quanto conseguire successi parziali. Quello non è  San Francisco o Denver o il Messico, e nemmeno possedere o addomesticare o essere-non-essere Neal. Non si risolve nel decidere se sposarsi, rintanarsi nelle convenzioni o continuare ad andare. Perseguire una continua estasi sembra essere soprendentemente un problema molto più letterario che quotidiano-viscerale-rozzo come è stato più o meno apertamente considerato per molti decenni. I due fili sono intrecciati tanto da risultare sgradevoli a chi intende la letteratura un ambito puro pieno di paletti per tenere lontana la materia grezza. E' così sgraziato che non sembra vero, ma credo che lo fosse. La disperazione impregna le pagine, si attacca alle righe, ma c'è quella tremenda ostinazione, andare oltre, continuare, restare affascinati da ogni cosa che può essere scritta.  Alla fine del viaggio - il rotolo, incollare i fogli come una strada da calpestare, il disordine delle parole - sono convinta che gli unici confini per cui non si dava pace fossero quelli del linguaggio.

4 commenti:

Ettore Fobo ha detto...

Della Beat Generation in generale anch’io ammiro soprattutto quell’eterno slancio vitale, essi mi trasmettono l’immagine di una vita che, se vissuta nella sua pienezza, vuole l’estasi, “l’estasi naturale” di cui scrive Ginsberg.

Come dici tu, é un fatto letterario, prima che rozzo- gergale, penso che si possa definire persino un fatto spirituale, sia per Ginsberg sia per Kerouac, che vanno verso Oriente, verso lo zen, soprattutto.
E’ un percorso dell’immaginazione, che vuole tutto, vuole l’impossibile. Come rassegnarsi al linguaggio?

E’ troppo bella la letteratura che va sulla strada e al tempo stesso vuole impregnarsi di totalità, desidera vagabondare fra gli astri.

Forse è un paradosso ma ciò che preferisco di Kerouac è la poesia, specie La scrittura dell’eternità dorata, o addirittura quella stranissima, e pressoché intraducibile, composizione jazz che è Mexico city blues. Ha scritto anche una poesia su Rimbaud, che trovo splendida.
Un caro saluto, Elena.
( bellissima la citazione di Le Clézio).

Alex ha detto...

Quante leggende su quel rotolo...da ciò che scrivi qui non mi sembra che ti abbia entusiasmato. Mi sono ricordato di un romanzo di K. che mi era piaciuto, s'intitola I Vagabondi del Dharma.

Elena ha detto...

Sembra dire: ciò che è, è ciò che muta. Lo spostamento sulla strada costringe a relazionarsi in modo sempre diverso, con gli altri con la propria vita, con il proprio specchio, con sè stessi. Nessuna azione sembra logica o giustificata, e così la sensazione è che tutte possano esserlo. Kerouac evidentemente soffre, incessantemente dilaniato dal richiamo remoto di una stabilità che non ha appiglio sula realtà, e così va, scrive. L'ossessione per i dettagli, i particolari, non rassegnarsi alla precarietà, immergersi nel concreto per trattenerlo, al punto da sfociare nell'astratto, mi ha ricordato Le Clézio..
Non conosco le poesie di K, ma le cercherò. Ginsberg invece, è nei miei piani da un pò.

Ciao.

Grazie, Ettore.

Elena ha detto...

No, non mi ha entusiasmato, diciamo anche che ero un pò prevenuta, forse proprio a causa di tutte quelle leggende. Però ora sono contenta di averlo letto, e di aver dato una sistemazione a qualche pezzo del disegno che non riuscivo proprio ad incastrare dopo aver percorso le prime pagine. Qualche pezzo che finalmente travalica quella leggenda, e fa di quel testo, letteratura.

Ciao, Alex.