15/02/11

Dimenticare capire

Quella strana cosa della visione periferica e poi un titolo misterioso.
Nei giorni successivi, durante un pranzo in cui ho iniziato a leggere il racconto sui bambini bruciati e non ci sono riuscita, e però ho cercato di farlo lo stesso sorvolando sulle cose più insopportabili e rendendo così quello che avevo letto un attimo prima falsamente sfocato e periferico, e in questo modo fissandolo ancora di più nella mente e nel ricordo involontario, incidendolo tanto che poi il pomeriggio guidando non smettevo di lacrimare e singhiozzare, non ho capito subito. E più non capivo più mi ribellavo e mi scoprivo veramente incazzata furibonda con Wallace e mentre guidavo gli gridavo e singultavo dietro del perchè aveva dovuto scrivere quelle due pagine orrende. Minuti senza ragione. Poi tutto si è pacificato dentro improvvisamente, e sono arrivata a casa. Non ho più pensato a tutto quel dolore, risucchiata dall'odore di figlie e dal cibo serale, da hobby serissimi e frivole incombenze casalinghe. Quella sera dopo aver letto due pagine di animali marini e aver accarezzato la schiena della piccola tenendo la mano leggera della grande sul fianco, ho visto qualcosa, gli occhi ancora aperti. Quello che poteva voler dire. Che nonostante tutti gli sforzi di avvolgere in morbide coperte fresche e cure esteriori un'innocente creatura bruciata dal dolore, è molto più facile che si continui involontariamente - forse -  ad ucciderla con ferite intime e invisibili, cose a cui per lo più nessuno pensa, piuttosto che con ustioni plateali. E quando ti accorgi di quel genere di ferite è tutto inutile, è davvero troppo tardi.

10 commenti:

Ettore Fobo ha detto...

Vero, da bambini siamo stati tutti ustionati, anche involontariamente, molti da adulti infliggono le stesse ferite volontariamente, ma non sanno, poveri mentecatti, di stare infliggendole anche al bambino dentro di loro, che sebbene agonizzante, sente ancora e vive, nonostante tutto. Questo nella migliore delle ipotesi. Altrimenti c’è una frase di Gualtiero Marchesi: In ogni uomo c’è un bambino, morto. Ma se si è capaci ancora di piangere, il problema della morte non sussiste. Ciao, Elena.

Pierluigi ha detto...

Ci penso sempre, ogni volta che guardo quegli occhi neri, che le carezzo le mani, i capelli, a cosa posso lasciarle dentro che la ferisca profondamente senza che possa rendermene conto, forse me ne rendo conto troppo bene e me ne vergogno, forse si scoprono quelle ferite che risalgono in superficie senza volerlo e per questo le si trasferisce senza volontà alcuna, forse si scoprono troppe debolezze con cui non si è mai fatto pace, io trovo difficile fare il papà, una responsabilità immensa che mi travolge, a volte. Perchè poi doversi trovare a leggere orrori così insopportabili? Vorrei risparmiarmeli, già li conosco.

Anonimo ha detto...

Ho appena aggiunto il tuo feed ai miei favoriti. Mi piace molto leggere il tuo post.

Elena ha detto...

Ettore, ho una paura folle di essere madre. Di cosa posso fare e soprattutto non vedere o vedere senza saperlo fermare. Bevo le tue parole, per questo, sperando che mi contagino. Io credo nella poesia.

Elena ha detto...

Pierluigi credo davvero che le ferite e le debolezze tornino a galla necessariamente da padri da madri, le portiamo sulla pelle e negli occhi e non riusciamo a tenercele dentro. Non so come si possano evitare le ustioni che provochiamo non so nemmeno se sia salutare chiederselo continuamente lasciando trapelare la paura.
La tua domanda è legittima. Anche la scelta di non leggere il dolore che già conosciamo. A me interessa il perchè della scelta di scriverne, oltre che quella di leggerne. Ma si scrive ciò che non si può evitare credo, nel modo che non si può scegliere.

Elena ha detto...

Anonimo, grazie. Fa sempre piacere
Ciao
Elena

Alex ha detto...

Va bene leggere Foster Wallace, Elena, va bene leggere tutto ma interiorizzare troppo fa male. Peggio, è una delle cose più inutili che possiamo fare, isolando dal mondo delle particelle che non ci appartengono con la scusa che, in questo modo, ce ne possiamo compiacere. Neppure in segreto, tra l'altro. Molto tempo fa successe anche a me, da ragazzo. Si trattava di alcuni passi di un testo, agghiacciante, di Adorno e Horkheimer; stavo andando a pranzo, mi sono seduto e poco dopo, davanti a tutti, me ne sono andato senza dire una parola. Mi sono messo al pianoforte, un degno collega della collera come di tutti gli altri sentimenti. Questo per dire che ho fatto del male a quelli che stavano mangiando, interdetti...Ma in quel momento erano, loro, i bambini piccoli e io un "gigante" vagamente idiota. Episodio che mise fine al mio rapporto con la psicologia? Tutto passa, anche Foster Wallace passerà.

Elena ha detto...

Conosco molto bene questo mio limite, pericoloso per giunta perchè deformante. Tuttavia riesco raramente a combatterlo. Divento quello che leggo, soprattutto quando non riesco a interpretarlo nel modo giusto. In questo caso la reazione scomposta (per fortuna vissuta in solitudine) si è ridimensionata quando si è accesa la proverbiale lampadina e sono riuscita a spiegarmi alcune cose. L'espisodio del pianoforte mi è piaciuto molto, e credo mi servirà, è molto aderente, per così dire, a questa situazione. E' vero, tutto passa, Wallace passerà, anche se lui qui è piuttosto un pretesto.
Non tutte le cose passano allo stesso modo.
Grazie dei tuoi pensieri, Alex.
Elena

Pierluigi ha detto...

Credo anch'io che, spesso, è tutto un pretesto, neppure troppo pretestuoso.

Elena ha detto...

Si è così Pierluigi. L'importante è rendersene conto. E cercare di non farsi ferire inutilmente.