06/12/10

Giri di vite

L'uscita del tunnel livida e granulosa laggiù annuncia un abbraccio promettente e gelido - i lampioni persi in una nebbia stanca -  più morbido di un cielo protervo blu pavone.
La strada scivola, lontana.
Siamo in fila, le luci rossi gonfiate dal grigiore. Guardo lo specchio. Una donna ha gli occhiali scuri e i capelli ordinati, si china verso destra lasciando il volante. La mano destra si accosta ad una piccola testa, i volti si avvicinano. Una bambina sul seggiolino, gli occhi intorpiditi, struggenti per quanto inconsapevoli, continua a succhiare. Osservo ipnotizzata il ritmo ondeggiante del ciuccio. La donna resta qualche istante in quella posizione, lo sguardo affondato nell'esile volto, poi torna a concentrarsi sul traffico.  Sta andando al lavoro, prima accompagnerà la bambina ancora piena di sonno all'asilo, o la lascerà a una nonna. In un momento una fiammata di ricordi, sguardi, sensazioni di pelle lattea, tepori, ferite scoperte, attimi sgusciati nel cratere del tempo mi stordisce. Assorbo ogni atomo dell'incapacità di rassegnarsi di quella donna, la fuggevolezza di tutto l'inutile in cui ci si rifugia senza saperlo  - eppure dannatamente soffrendo - per scoprirlo soltanto quando ci si rende conto improvvisamente che il peso del dovere va naturalmente scemando. Sono sopraffatta da ciò che ho perso o che non sono riuscita ad avere,  guido angosciata per minuti attraverso uno schermo liquido al punto che la donna, in ritardo come tutti gli altri, mi supera, e va oltre.
Lascio che alcune auto mi si incollino dietro spazientite. Mi riprendo, ecco, recupero lentamente la mia stessa lentezza. Non é tardi. Esco dall'errore. Non é perduto ciò che  semplicemente è passato. Loro non ci stanno pensando, esattamente come me molte altre volte, l'unica differenza tra me e loro é questa. E ora perfettamente calati nel loro presente questo si, lo stanno perdendo. Non si lasciano afferrare dalle visioni. Non ora. Ignorano. Quella zolla d'Irlanda gremita di pecore così incongrua incastrata tra stratificazioni sporche presso l'Ardeatina, dove il verde muschio si lacera in un piano che sembra lievitato su un terrapieno di cacao amaro. Né sembrano accorgersi di stormi neri avvelenare l'aria di arabeschi, dell'ammassarsi  di inumani psicopompi sui rami di un albero al limite dell'autostrada, del loro frullare sconclusionato fino alla rigidità improvvisa in cui sembrano guardare tutti nella stessa direzione, un punto esatto al di là del nostro brandello di tempo.

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