22/10/10

Esposizione

Samattina ho accostato arditamente John de Leo e la battaglia di Evermore, che non ha niente di metafisico, semmai di tenacemente attaccato al ricordo. Briciole dolci, appena sotto l'angolino del labbro. Ho lasciato che mandolino e strappi di voce come gracidanti gabbiani e punte di pietra mi attraversassero il collo, sospingendo dal fondo di un lago di specchi strani segni del tempo, come fiocchi di inconscio rosa, nati anch'essi da musica più o meno vicina in giorni simili, ma forse suggeriti più dal cielo a cui andavo incontro, un cielo in cui le stesse nuvole tradivano la loro natura volatile, di ali rosa ciclicamente svanenti allo sguardo. Mi fermo a guardarle lontane ed estranee un attimo prima di infilare la testa nelle porte di vetro, e lì lasciarmi raccogliere dal tepore ronzante nel colore verde scuro del passaggio serra sospeso in trasparenza fino all'atrio ascensori. Il primo piano é più azzurro e glaciale, poi, voltato l'angolo é di bianco e luce ghiaccia su corridoi vuoti e prospettici, e la fotocopiatrice sempre sola sembra la sola essenza del quadro in cui forse sarei io il soggetto se non fossi io a pensarlo. Non c'é mai nessuno. Mi piace arrivare per prima e violare l'interno. Mi concedo il piacere di poter apparire a qualcuno che arrivi e che sappia vedere, carpita in uno sguardo d'insieme.

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Leggere questo post mi ha dato la sensazione di guardare, o meglio osservare, un quadro.
Boh...è strano perché di solito non associo alle parole queste sensazioni.
Ciao Elena!

Elena ha detto...

Si, il senso era questo, e perciò sono contenta due volte :)
Ciao Paolo