06/04/10

Fumo (loro due)

Lui non era più fermo. Partiva, tornava. Sembrava passare sulle cose osservandole dall'alto. Il mondo fremeva leggermente al suo passaggio, come se ne avvertisse l'onda. Lui parlava. Bisognava capire quando perdendo aderenza sul possibile scivolava lungo il crinale dell'abbandono rischiando la follia. In quel caso inalava il fumo tossico del rimpianto e diceva: è colpa mia. Si rattrappiva risucchiato nei crampi di una solitudine che non prometteva più nemmeno la salvezza della morte. C'era lei. Lei era ancora ferma. Brillava, guardava lontano, immobile. Prendeva ogni cosa dall'interno. Il mondo aspettava col fiato sospeso che parlasse: ma lei taceva. Le sue ferite si chiudevano e si riaprivano in spasmi ritmici, prendendo il tempo da un respiro lontano che sapeva di birra e di fumo. Aspettava. Svaniva. Lui la voleva, lottava, sanguinava, la trovava, la portava via. Lei diventava piccola, voleva averlo, lo seguiva ridendo diceva: non so perchè ma so chi sei. Si chiedevano sempre come sia che vivere si riveli improvvisamente possibile. Che tutto ciò che appare difficile non sia che la proiezione di un incubo antico di secoli e mai chiarito. Come se l'unica cosa che mancava fosse così disarmante da suonare poetico, voltare lo sguardo e vedersi. Quando erano stanchi di farsi domande raccoglievano il silenzio tra le ciglia e facevano l'amore.

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