03/09/09

Tropico del cancro

Apro Tropico del Cancro, leggo brani a caso. Chi può dire come scatti il meccanismo, se sia quel profumo di pensiero; mi trovo a girare ansiosamente le pagine, a cercare, cercare, quando arrivo a pagina 134 il battito accelera, è come trovare qualcosa di proprio dentro due occhi sconosciuti.

"Non c'è piacere più complesso del pensiero, e ci abbandonavamo ad esso."
(J.L.Borges, L'Aleph)


"Solo più tardi, nel pomeriggio, quando mi ritrovo alla galleria d'arte di rue de Séze, attorniato dagli uomini e dalle donne di Matisse, solo allora mi sento di nuovo tratto nei giusti confini del mondo umano. Sulla soglia di quel gran salone, di cui ora si infiammano le pareti, sosto un attimo a riavermi dal colpo che si prova quando il naturale grigiore del mondo va a pezzi ed erompe il colore della vita, in canto e poesia. Mi ritrovo in un mondo così naturale, così completo, che mi ci perdo. Ho la sensazione di essere immerso nel plesso medesimo della vita, a foco da qualsiasi punto, posizione, atteggiamento io guardi. Perduto, come quando un giorno affondai nel fitto bosco fiorito, e seduto nella sala da pranzo di quell'enorme mondo di Balbec, colsi per la prima volta il profondo significato di quelle calme interiori che manifestano la propria presenza per l'esorcismo della vista e del tatto. Sulla soglia di quel mondo che ha creato Matisse, io provo ancora quel potere di rivelazione che ha permesso a Proust di deformare a tal punto il quadro della vita che soltanto coloro i quali, come lui, sono sensibili all'alchimia del suono e del senso, riescono a trasformare la realtà negativa della vita in un disegno d'arte concreto e significante. Soltanto coloro i quali lasciano entrare la luce nelle proprie viscere riescono a tradurre quel che c'è nel cuore. Ricordo con vivezza come il lucore e lo sfavillio della luce, carambolando sui pesanti lampadari, sprizzasse e spargesse sangue chiazzando la cima delle onde che battono monotone l'oro spento fuor delle finestre. Sulla riva alberi e camini allacciati, e come un'ombra fuligginosa la figura di Albertine che scivola nella spuma e s'innesca nel mistero vivo e nel prisma del regno protoplasmico, unendo la sua ombra al sogno e annunzio di morte. Col finire del giorno, dolore che sorge come caligine dalla terra, pena che si conchiude, nascondendo l'interminata vista del mare e del cielo. Due mani di cera giacciono immobili sulle coltri e lungo le pallide vene il mormorio flautato d'una conchiglia che ripete la leggenda della sua nascita.
In ogni poesia di Matisse c'è la storia d'una particella di carne umana che ha rifiutato la consumazione della morte. Tutta quanta la carne dai capelli alle unghie, esprime il miracolo del respiro, come se un occhio interiore, nella sua sete di maggior realtà, avesse convertito i pori della carne in bocche affamate e veggenti. Qualunque sia la visione, c'è dolore e il suono del viaggio. E' impossibile fissare nemmeno un angolo dei suoi sogni senza sentire il levare dell'onda e il fresco dello spruzzo che vola. Egli sta al timone a scrutare con fermi occhi azzurri nel portafogli del tempo. In quali angoli remoti non ha egli gettato il suo sguardo lungo e obliquo? Fissando giù per il vasto promontorio del suo naso ogni cosa ha contemplato - le Cordigliere che precipitano nel Pacifico, la storia della diaspora scritta su cartapecora, imposte che fiutano il frufrù della spiaggia, il piano che s'incurva come una conchiglia, corolle che esplodono diapason di luce, camaleonti che si dimenano sotto il torchio, serragli che spirano in oceani di polvere, musica che emana come fuoco dalla cromosfera nascosta del dolore, spore e madrepore che fruttificano la terra, ombelichi che vomitano la loro lucida prole d'angoscia... Egli è un lucido saggio, un veggente che danza e con un colpo di pennello spazza via il brutto patibolo a cui incatenano il corpo dell'uomo i fatti incontrovertibili della vita. E' lui, se c'è oggi uomo a possederne il dono, che sa dove dissolvere la figura umana, che ha il coraggio di sacrificare una linea armoniosa, per scoprire il ritmo e il mormorio del sangue, che prende la luce rifratta dentro di lui e lascia che inondi la gamma dei colori. Dietro le quisquilie, il caos, la beffa della vita, egli scopre il modulo invisibile; annuncia le sue scoperte nel pigmento metafisico dello spazio. Niente ricerca di formule, niente crocifissione di idee, nessun'altra compulsione, se non a creare. Anche adesso che il mondo va a pezzi, c'è un uomo che rimane al nocciolo, che si fissa e si àncora sempre più solidamente, e diventa sempre più centrifugo man mano che s'affretta il processo di dissoluzione.
(...)
Proprio sul mozzo di questa ruota che va a pezzi c'è Matisse. Ed egli continuerà a rotolare fino a che tutto quel che forma la ruota si sarà disintegrato.
(...)
Il mondo di Matisse è bello alla maniera di una camera da letto fuor di moda. Non c'è in mostra un cuscinetto a sfere, non un pezzo di lamiera, un un pistone, non una chiave inglese. E' lo stesso vecchio mondo che andava gaio al Bois, ai tempi pastorali del vino e della fornicazione. Mi lenisce e mi ristora muovermi fra queste creature con vivi pori spiranti dal fondo solido e stabile come la luce medesima. Lo sento acutamente mentre passeggio per il boulevard de la Madeleine e le puttane frusciano accanto a me, quando appena uno sguardo a esse mi fa tremare. Perchè sono esotiche, perchè ben nutrite? No, è raro trovare una bella donna lungo il boulevard de la Madeleine. Ma in Matisse, nell'esplorazione del suo pennello, c'è lo scintillio tremulo di un mondo che chiede soltanto la presenza della femmina per cristallizzare le più fuggevoli aspirazioni. Incontrare una donna che s'offre fuor d'un pisciatoio, dove c'è la rèclame delle cartine per sigarette, del rum, degli acrobati, delle corse di cavalli, dove la chioma pesante degli alberi rompe la massa pesante dei muri e dei tetti, è un'esperienza che comincia dove cedono i confini del mondo conosciuto. A sera, di tanto in tanto, sfiorando i muri del cimitero, inciampo nelle fantomatiche odalische di Matisse legate agli alberi, le criniere attorte inzuppate della loro linfa. A pochi palmi, ma distante incalcolabili ere temporali, giace lo spettro prono di Baudelaire, avvolto in bende come una mummia: un mondo intero che non rutterà più. Negli angoli oscuri dei caffè uomini e donne con le mani strette, i lombi maculati; accanto il garçon con il grembiule pieno di soldi, che aspetta paziente l'entr'acte per montare addosso alla moglie e infilzarla. Anche mentre il mondo va a pezzi, la Parigi che appartiene a Matisse vibra di chiari, ansanti orgasmi, l'aria medesima è densa di sperma stagnante, gli alberi arruffati come capelli. Sull'asse vacillante la ruota precipita a fondo valle, non ci sono freni, nè cuscinetti a sfere, nè pneumatici. La ruota si spezza, ma la rivoluzione continua immutata..."

(Henry Miller, Tropico del cancro)

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