18/07/09

La stanza

"Sarei forse più sola

Senza la mia solitudine.

Sono abituata al mio destino.

Forse l’altra - la pace -

Potrebbe spezzare il buio

E riempire la stanza -

Troppo stretta per contenere

Il suo sacramento.

La speranza non mi è amica -

Come un’intrusa potrebbe

Profanare questo luogo di dolore -

Con la sua dolce corte.

Potrebbe essere più facile

Affondare - in vista della terra -

Che giungere alla mia limpida penisola

Per morire di piacere."


(Emily Dickinson)


4 commenti:

Gioacchino ha detto...

E' proprio una penisola, la solitudine. L'isola appare più come una cosa increata e eterna. Forse, la felicità somiglia di più a quest'ultima. Ma la solitudine è come una lingua di terra che si sporge dalla costa. Sembra così sempre possibile un ritorno, anche se quel confine immaginario tra il se' e il mondo è attraversato ormai solo da ricordi. Ma che sia la speranza a cercare te, e non viceversa, non so se stia a significare un allontanamento o un avvicinamento al mondo degli altri, e se sia un evento possibile. Per me la speranza è pur sempre un prodotto della solitudine, è ancora senza dubbio solitudine senza uscita, illusione su illusione; non è neanche uno stato d'animo, un gesto concreto, una forza attiva, a differenza della solitudine. Sarà per la sua astrattezza che molti vedono in essa una forza capace di salvarti. Ma allora non è pura e semplice fede?

Gioacchino

Blessing Sunday Osuchukwu ha detto...

Bellisma! Quando la speranza diventa un'intrusa.....c'è da preoccuparsi.

Elena ha detto...

Gioacchino, la speranza nasce dall'esperienza dell'imprevedibile, il non-sperato che accade, qualcosa che riesce a raggiungerti nonostante l'isolamento, volontario o necessario che sia. Astrattezza che si intrufola non richiesta nella concretezza del dolore e della solitudine.
A presto

Elena ha detto...

Ciao Bless,
si, forse si...
un caro saluto