19/06/09

Se una notte d'inverno un viaggiatore


Italo Calvino è, e non potrebbe essere diversamente, un'idea aguzza di scrittore, con tutte quelle punte di pensiero, alternate però a corsi dal flusso apparentemente tranquillo che scavano e scavano senza troppo rumore, tanto in profondità da lasciare tracce invisibili ma persistenti là dove passano. Spiegare per quali vie questo libro sia giunto ad affiancare fisicamente e con scelta tanto puntuale di tempi e luoghi gli Scritti Letterari di M.Foucault nella mia borsa sarebbe un'impresa rischiosa, mi indurrebbe alla formulazione di ipotesi legate alla responsabilità del caso, dell'inconscio, del paranormale, insomma fantasiose e pericolosamente prossime al ridicolo. Mi limito a gingillarmi in una beata soddisfazione per la perfetta pertinenza dei due testi: quando Foucault illumina la platea (obbligando me a volontari ma non per questo meno violenti sforzi di concentrazione e comprensione dei suoi concetti) con articolate considerazioni sulla funzione-autore, Calvino profonde tutta la sua genialità in una costruzione letteraria ardita, complessa, intricata e passionale sulla letteratura, sul rapporto tormentato dello scrittore con le sue opere, ma soprattutto dello scrittore con i suoi lettori e dello scrittore (in quanto prima di ogni altra cosa lettore), con la lettura. Vere acrobazie intellettuali di chi mentre si interroga tormentandosi sulle finalità e i segreti della perfetta scrittura e del lettore ideale e sogna un romanzo fatto solo di incipit per non disperderne la straordinaria spinta iniziale, evaporazione inevitabile nel corso del racconto, costruisce mille ipotesi, e infine azzarda, le mette in pratica. In realtà i dieci quasi romanzi intrecciati in questo libro sono qualcosa di più di dieci incipit, ma tutti si interrompono sul più bello abbandonando chi legge ad una frustrante insoddisfazione, costringendolo a cercare disperatamente il seguito per poi ricominciare da capo il gioco crudele e perverso. E' una frenesia che serpeggia per tutto il libro e che ha più di qualche riferimento erotico, un'idea di letteratura ispirata da tutte le fantasie cervellotiche e sensuali (o sensualmente cervellotiche o cerebralmente sensuali) che è possibile nutrire nei confronti della ambigua Lettrice, e del misterioso rapporto che instaura con ciò che legge e con chi lo ha scritto. Capire il ruolo del Lettore è ugualmente compito difficile, anche se viene piuttosto sommariamente liquidato come possibile alter ego completamente privo di sincerità dello scrittore.
E' un'esperienza cervellotica abbastanza sconvolgente da lettori (peggio da Lettrice) sentirsi scandagliati nel proprio ruolo attivo all'interno di un romanzo che si sta per l'appunto leggendo. Mentre in questi giorni più volte mi è capitato di ripensare alla lettura come un appagamento a domande mai chiaramente espresse, ad un ricorrente senso di disagio che mi fa desiderare di sentirmi sparire come corpo, arrivando a considerarlo come un ostacolo alla comunicazione, qualcosa che si frappone fra coscienze quando vorrebbero davvero raggiungersi, trovo scritto quanto segue:


"Dai suoi discorsi molto circostanziati, mi sono fatto l'idea d'un lavoro condotto seriamente ma i miei libri visti attraverso i suoi occhi mi risultano irriconoscibili. Non metto in dubbio che questa Lotaria (si chiama così) li abbia letti coscienziosamente, ma credo che li abbia letti solo per trovarci quello di cui era già convinta prima di leggerli.
Ho provato a dirglielo. Ha ribattuto, un pò risentita: - Perchè? Lei vorrebbe che leggessi nei suoi libri solo quello di cui è convinto lei?
Le ho risposto: - Non è così. Dai lettori m'aspetto che leggano nei miei libri qualcosa che io non sapevo, ma posso aspettarmelo solo da quelli che s'aspettano di leggere qualcosa che non sapevano loro."


"Come scriverei bene se non ci fossi! Se tra il foglio bianco e il ribollire della parole e delle storie che prendono forma e svaniscono senza che nessuno le scriva non si mettesse di mezzo quello scomodo diaframma che è la mia persona! (...) Chi muoverebbe questa mano? La folla anonima? Lo spirito dei tempi? L'inconscio collettivo? Non so. Non è per essere portavoce di qualcosa di definibile che vorrei annullare me stesso. Solo per trasmettere lo scrivibile che attende d'essere scritto, il narrabile che nessuno racconta.
Forse la donna che osservo col cannocchiale sa quello che dovrei scrivere, ossia non lo sa, perchè appunto aspetta da me che io scriva quel che non sa, ma ciò che lei sa con certezza è la sua attesa, quel vuoto che le mie parole dovrebbero riempire."

Sarebbe addirittura spaventoso leggere tutto questo proprio oggi, se non fosse simile a, o precisamente identificabile con un necessario meraviglioso riempimento di un vuoto, di un'attesa.

4 commenti:

bloody ivy ha detto...

foucault lo amo proprio.. però l'ho letto in italiano perchè il francese non l'ho mai imparato.
Calvino non mi piace per come scrive, ma per le idee nuove e strepitose che ci mette in ogni libro, anti metalibro..
ogni romanzo una vera invenzione

Elena ha detto...

Ciao Ivy.
nemmeno io conosco il francese,
però non si sa mai..
Calvino è stata una vera riscoperta
Un abbraccio

elisa ha detto...

Di Foucault ho letto solo "Sintesi della Storia della Follia nell'Età Classica" quando ho seguito dei seminari sul sogno e la follia..e l'ho trovato davvero interessante, mentre Calvino con i suoi Il barone rampante/Il visconte dimezzato/Il cavaliere inesistente me lo fecero scoprire alle medie..di là poi arrivarono altri suoi scritti. Comunque l'amore per certi scrittori, per certe parole e concetti si formano proprio quando sei adolescente o anche prima..almeno per me è stato così..

Elena ha detto...

La mia adolescenza è stata una fornace neuropsichiatrica, certe braci non si sono mai del tutto spente. Forse è così per tutti.
O quasi.