10/06/09

L'invisibile agonia della Cosa



Non sapevo niente di David Foster Wallace prima che si suicidasse. Non avevo letto niente. Se ho cominciato a leggerlo dunque è perchè si è suicidato. Posso immaginare che sarei arrivata a lui, prima o poi, magari passando attraverso Carver o che ne so, De Lillo. Ma non è successo questo, è successo invece che io sia approdata a lui in ragione del suo suicidio, e che arriverò a Carver e a De Lillo attraverso lui. Cos'altro è questo, se non un modo di giustificare la sua scelta? Un modo implicito o involontario, obbligato quanto si vuole, o forse casuale, ma lo è. Io in bilico sulla fune come altre centinaia di migliaia di lettori attraverso l'abbacinato grandioso tendone mediatico, io vittima e carnefice letteraria, sto affettivamente mitizzando, elogiando, sfruttando, godendomi i preamboli e i postumi del suo suicidio, quello di David F.W. scrittore se non altro. Ma scrivere letteratura non è, come non è mai stato, un mestiere (può diventarlo oppure no, nelle conseguenze sociali e arbitrariamente contingenti di un modo di essere), dunque non mi è possibile appellarmi ad alcuna distinzione del genere. Il 12 settembre 2008 David F.W. è stato trovato dalla moglie nella sua casa in California. Si era impiccato. Su qualche commento più o meno giornalistico di quei giorni ho letto che i suoi racconti, i romanzi, i saggi, sono disseminati di indizi per i quali il suo gesto non sorprende, e che tutta la sua letteratura altro non è che un lungo testamento. Ma non credo che esista o sia mai esistito scrittore per cui non sia o non sia stato così. Ricordo bene quanto ho condiviso questi pensieri sulla morte dell'autore. Quando si scrive si è già morti per certi versi. Non tutti gli scrittori però si tolgono fisicamente la vita. E ora non so se mi sto invischiando in una specie di senso di colpa che nella vita reale non ci sarebbe alcuna ragione di provare. Ho deliberatamente aspettato prima di avvicinarmi a qualcosa di suo per non sentirmi parte di un coro di cordoglio letterario vacuo e inconsistente, ma l'attesa non mi ha automaticamente salvato, ne sono consapevole. Se non avessi mai comprato e poi letto La ragazza dai capelli strani avrei perso un'occasione, quella di instaurare quel tipo di comunicazione con un'altra coscienza che diventa dialogo, un vero e proprio scambio oltre l'illusoria intimità creata dall'arte, che proprio lui aveva descritto come una delle più straordinarie esperienze del lettore e che aveva la furiosa necessità di replicare da scrittore. Il salto del muro che nel reale ci stritola nel nostro isolamento esistenziale. E avrei così ucciso io per soffocamento, non aprendo quell'infinitesimale crepa nel nostro muro, negandoci l'ossigeno nel lampo che ci ha svelato e liberato per un breve istante, un frammento di David F.W., e di me stessa. Allora non riesco a decifrare la ragione del disagio che provo nel leggerlo e rileggerlo, nel cercarlo in altri racconti, nel restare imbrigliata in un libro terminato che a sua volta sembra continuare a cercarmi, che mi rimesta dentro e che non riesco a chiudere e a togliere dalla borsa.

8 commenti:

Gioacchino ha detto...

Ci giro intorno da un pezzo - intorno alle cose che scrivi, ai tuoi lusinghieri commenti sul mio blog - ma il silenzio che mi spegne a intervalli imprevedibili ha intaccato ultimamente le mia capacità verbali,anche se si tratta solo di lasciare un saluto a una nuova amica/lettrice. Quest'ultimo articolo però mi ha dato la spinta che mi serviva per lasciare una piccola testimonianza del mio apprezzamento nei confronti del tuo blog. Sarà stato il carattere dello scritto, un elogio del caso, morte a parte, che ti ha portato a un'importante scoperta letteraria... E' stato quel "morte a parte" (scusa la brutalità della mia sintesi) a colpirmi. Sei riuscita a essere dentro e fuori il fatto, come nei precedenti posts su Bowie e su Wallace, e come nel bellissimo "Neve nera". A presto,

Gioacchino

Elena ha detto...

Ciao Gioacchino
sono più le volte che lascio solo tracce, ultimamente, anche quando vorrei dire qualcosa, e conosco bene quel sentirsi muti. E allora sono colpita, forse qualcosa di più, per aver trovato il tuo saluto, e quello che scrivi qui è molto più di quanto avrei mai potuto chiedere. Voglio anche chiederti scusa se posso averti dato anche la più vaga impressione, nell'ultimo commento che ti ho lasciato, di una lusinga vacua, che mai avrei voluto dare.. ho scritto qualcosa di non sedimentato, quello che mi avevi lasciato, e subito dopo un pò mi sono pentita. Non perchè non ero stata sincera, tutt'altro. Per una certa infantile impulsività di cui non riesco e credo mai riuscirò a liberarmi.
Spesso passo a leggerti e sempre trovo filamenti di cose che sembrano venirmi incontro, e intorno.
Ciao Gioacchino
a presto
Elena

Lars W. Vencelowe ha detto...

Cara Elena,
mi sa che prima o poi ti toccherà affrontare Infinte Jest, e sarò curioso di conoscere le tue impressioni. Io ci sto navigando in mezzo da qualche mese e fatico a tenere dritta la barra. Come ho già detto DFW è tanto, forse "troppo", ma di quel troppo che affascina ed attrae. Ho l'impressione di essermi imbattuto nel romanzo definitivo, dopo il quale non c'è più nulla, solo altro e non oltre.
A presto,
Lars

Elena ha detto...

Caro Lars,
Infinite Jest devo ritirarlo oggi, lo leggerò presto, perchè anch'io ci sono dentro in questo mare e ormai non posso fare altro che nuotare. Il fascino del troppo di D.F.W. penso risieda nella sua intelligenza sincera, nelle sue idee "buone" sulla letteratura, su un mondo che appare irrimediabilmente stupido ma lo è solo in apparenza, sul rapporto unico e difficile che si può instaurare tra chi scrive e chi legge (soprattutto se chi scrive è prima di ogni altra cosa un grande lettore). Non so cosa ne ricaverò, ne ho persino un certo timore. Non fatico a credere alla tua impressione di qualcosa di definitivo.
A presto,
Elena

elisa ha detto...

Come mi capita spesso con i troppo "nominati" o "censiti" o "consigliati" rimando l'incontro..ma sono io la strana lo so.
Ci credi che lo sguardo del cane come fosse il suo doppio e "sapesse" mi ha acceso un barlume?

Elena ha detto...

Non sei affatto strana, o altrimenti lo sono anch'io, ho rimandato l'incontro come dici, di circa un anno.
Volevo che fosse spontaneo, e così è stato.
La foto l'ho scelta fra un mucchio nutrito, credo che il barlume sia lo stesso..
Un abbraccio
Elena

Alex ha detto...

Vedere e leggere, anche se con qualche difficoltà, tutti questi post su DFW mi ha impressionato, se penso a quanto l'ho letto anch'io e l'avevo meditato nello stesso periodo...Qui o là, forse, con parole analoghe. Avevi anche linkato un mio post piuttosto doloroso (rileggendolo, mi appare chiaro fino a che punto me la prendevo- e me la prendo ancora- con l'indifferenza per la morte come atto creativo, ben più che con la morte stessa dell'autore che di per sé è un'ovvietà biologica), ma io non sapevo che avevi condiviso gli stessi pensieri...Anzi, è probabile che all'epoca io non sapessi nulla del tuo blog. Non ci sono molte persone che insistono così a lungo su un certo autore, non mi sembra, tranne forse le woolfiane e gli aristotelici :)...Ne sono felice, tutto qui.

Elena ha detto...

Ciao Alex. L'incontro DFW é stata un'esperienza incredibile. Desideravo fortemente evitare di scivolare nell'adorazione del mito suggerito dalla cronaca. Ho aspettato, ci ho girato intorno, leggevo recensioni commenti articoli- tra i quali il tuo che ho linkato dopo qualche tempo - che tentavo di epurare il più possibile riducendo tutto all'osso, alla sostanza. Dopo un anno quel nome continuava a martellarmi nella testa, come una presenza ingombrante. Era uno di quegli autori che pretendeva di essere letto. Alla fine ho comprato La ragazza dai capelli strani, e la scelta é stata magnifica perché al di là dei racconti, gli stralci di interviste erano così intensi e illuminanti da valere da soli l'acquisto del libro. Poi ho comprato Infinite Jest. L'ho letto quasi tutto. Mancano duecento pagine (più le famose note). E' lì, ancora non riesco a toglierlo fisicamente dal comodino. Ogni tanto lo apro e lo sfoglio. Non é che cerchi risposte lì dentro. Mi serve sapere, ricordarmi, che é stato scritto in ragione di certe domande.