04/06/09

David Foster Wallace, La ragazza dai capelli strani


"Sulle facce degli uomini non c'è niente. Guarda da vicino. Digli di guardare bene. E non quello che fa la faccia: le facce degli uomini non stanno mai ferme, sono come antenne. Ma l'unica cosa che fanno è spostarsi da una configurazione all'altra di pura inespressività. (...)
Digli che nelle maschere degli uomini non ci sono buchi dove infilare le dita. Digli come si potrebbe mai solo sperare di amare qualcosa su cui non si può far presa."

D.F.W. Di lui leggo nella prefazione della prima edizione de "La ragazza dai capelli strani" di minimum fax del 2003 a cura di Zadie Smith: un'intelligenza generosa. Come se il suo cervello risiedesse in uno dei ventricoli, o in una scatola cranica abbastanza grande da contenere un cuore pulsante, dice così. A me sembra che avesse reso scrittura un pensiero: che qualunque discorso breve o lungo o limpido o visionario, scritto bene o male, non può arrivare a nessuno se non a lampi; lampi di discorsi, incontrano lampi di persone, difficile se non impossibile ottenere qualcosa di più efficace in quanto a comunicazione. Frattaglie di cose vissute in un intreccio fitto e indistinguibile dall'interiorità di chi le vive hanno più possibilità di inserirsi nelle frattaglie cerebrali individuali ma naturalmente individuabili da chiunque, di quanto possano fare le storie rese in cronaca più o meno artistica o (e uso questo termine consapevolmente allo scopo di dare ossigeno al raccapriccio che mi provoca) "creativa". Utilizzare le parole non rende la comunicazione agevole più dell'utilizzare tinte e pennelli o musica o una macchina fotografica. Tutt'altro. Qui però non si smette di cercare un contatto. Segmenti di situazioni, flash di circostanze, visioni cervellotiche, rush emotivi, che riescono inaspettatamente a raccontare persone e nevrosi incastonate nel mondo contemporaneo americano, di cui tutto però tutto l'occidente inala vapori in quantità massicce. Il cerebralismo torrenziale non si riavvolge su sè stesso in un groviglio interiore di incomunicabilità, riesce in qualche modo a srotolarsi in una miriade di appendici che ramificano progressivamente, si allungano, attanagliano, afferrano. Ovunque i racconti riverberano umana solitudine ritratta nello sforzo incessante di arrivare in qualche modo agli altri.

Nessun commento: